domenica 30 ottobre 2016

Consapevolezza e Alimentazione

Molto spesso viene usato il termine Consapevolezza accostandolo all’atto di nutrirsi, tentando in tal modo di rafforzare il concetto di Alimentazione Consapevole. Questo particolare tema rischia però di essere svilito qualora si provasse ad inserirlo in un contesto che riguardi solo ed esclusivamente il cibo e la scelta degli alimenti utili al nostro corpo. In realtà quando ci si appella al bisogno di una rinnovata consapevolezza si intende un processo unico, all’interno del quale l’alimentazione gioca un ruolo essenziale, ma non ne rappresenta lo scopo principale. Dobbiamo quindi, a questo punto, chiederci necessariamente cosa si intende per consapevolezza. Gli studi filosofici ci insegnano che si tratta di un sapere immediato, ottenuto facendo uso dell’apparato sensoriale, che ci porta ad oggettivare tutto ciò che è possibile osservare, sentire e percepire intorno a noi. Da una tale esposizione è possibile desumere che non può esistere consapevolezza senza coscienza, due stati dell’essere che si trovano in simbiosi anche se diversi tra loro. Lo stato di coscienza ci appartiene indipendentemente dalla consapevolezza; quando ci svegliamo al mattino e iniziamo a guardarci intorno, a riprendere contatto con la realtà che ci circonda, viviamo uno stato di coscienza e in tale stato rimarremo fino a quando non riprenderemo a dormire. Siamo attenti, presenti alle varie situazioni, coscienti del nostro ruolo all’interno delle varie dinamiche che formano il nostro quotidiano, la nostra vita sociale. In poche parole agiamo, ma questo agire non sempre corrisponde all’aver compreso pienamente per quale motivo lo stiamo facendo; la stragrande maggioranza delle azioni compiute durante il giorno è spesso frutto della consuetudine, lo statico riproporsi di modelli comportamentali spesso imposti dal sistema, dai contesti sociali, dal gioco dei ruoli all’interno dei rapporti personali e interpersonali. Rapportando quanto appena scritto all’argomento di questo libro, proviamo a pensare quante volte, consapevolmente, siamo veramente noi a scegliere cosa acquistare. Non si tratta soltanto di voler ridurre il tutto all’alimentazione; si tratta invece di un problema che investe completamente ogni nostra singola abitudine, quasi ogni azione, un problema che assume vari nomi, tra questi Controllo e Disinformazione. Gli studi comportamentali, la psicologia cognitiva, le neuroscienze, sono diventate materie utilissime e preziose per il marketing, veri e propri scanner sotto i quali passano i nostri cervelli, sensori infallibili che registrano ogni nostro movimento. Noi a volte abbiamo le idee confuse, ma non certo gli strateghi del marketing; loro sanno benissimo quali sono i nostri punti deboli, cosa ci piace, cosa ci attira, quali trasgressioni ci permettiamo pensando di non essere visti da nessuno. In che modo accade tutto questo? Cerchiamo innanzitutto di focalizzare quali siano le strategie, le aree sensibili attraverso le quali possono agevolmente muoversi i persuasori occulti mettendo in pratica le tecniche di disinformazione e coercizione mentale in loro possesso. Volendo disegnare uno scenario che comprenda i vari punti sensibili, ovvero quelli che vengono considerati come i “punti deboli” dei consumatori, il primo posto è sicuramente riservato al Kids Marketing, una particolare branca del mercato tesa a capitalizzare la nostra innata debolezza nei confronti di una richiesta d’acquisto proveniente da un bambino, soprattutto se si tratta dei nostri figli. In questo caso tutta l’informazione, composta per lo più da messaggi visivi e uditivi, è studiata per i più piccoli, visti come un mezzo per far arrivare la richiesta d’acquisto a quello che sarà il compratore finale. Gli studi condotti sul comportamento e sulle preferenze dei più piccoli confluiscono direttamente in azioni strategiche mirate; provate ad osservare con attenzione la posizione di alcuni prodotti nei vari supermercati: merendine e giocattoli sono solitamente disposti a circa un metro da terra, ovvero a portata di bambino, e sono solitamente confezionati con colori sgargianti. Alcuni sondaggi, inoltre, rivelano che i bambini sotto i tre anni guardano circa 40.000 spot pubblicitari l’anno, che circa il 75% degli acquisti spontanei può essere ricondotto ad un bambino, e che una madre su due compra un alimento perché richiesto dal figlio. Se i nostri figli sono equiparati, da un certo tipo di mercato, al nostro maggior punto debole, esiste una diversa fascia di marketing che sfrutta un diverso parametro di studi per incrementare le proprie vendite, quello delle case farmaceutiche. A prima vista potrebbe apparire come un paradosso, eppure la nostra salute è costantemente sotto il mirino degli analisti finanziari, un vero e proprio business in costante aggiornamento e direttamente connesso alle varie tecniche di disinformazione. Il soggetto sul quale si basa questa particolare tecnica risulta sempre vincente; stiamo parlando della paura. Tratto da VEGAN R/EVOLUTION...IL LIBRO...continua la lettura

lunedì 17 ottobre 2016

Nomi strani...cibi sani

Potrebbe accadere, magari durante una vacanza, un viaggio in paesi lontani dalla nostra cultura e dalle nostre abitudini alimentari, o molto più semplicemente girovagando per i supermercati, di trovare prodotti e ingredienti dai nomi strani, a volte impronunciabili. Proviamo a redigerne un breve elenco: Aglio nero: ciò che rimane dell’aglio fermentato per un mese ad alte temperature. Contiene proprietà antiossidanti. Agretti: dal sapore vagamente agre, si trovano anche sotto il nome di lischi o senape dei monaci; si tratta di ortaggi tipicamente primaverili, molto simili all’erba cipollina, ricchi di sali minerali e dalle ottime qualità depurative. Ajowan: spezia simile al timo (India). Assafetida: spezia costituita da resina seccata derivata dai finocchi. Bacche di Açai: frutto brasiliano di colore scuro, simile al mirtillo, molto nutriente, tanto da essere inserito nella dieta degli atleti brasiliani. Bacche di Goji: i Tibetani le conoscono come i “frutti della vita” e anche i medici cinesi le usano frequentemente. Ricche di antiossidanti, aminoacidi e vitamine, non sempre sono di facile reperibilità; risulta molto più semplice acquistarne i semi da piantare in primavera. Baklava: dolce preparato con pasta fillo. Bardana: ortaggio a radice, si prepara come la carota. Bilimbi: frutto tropicale simile alla carambola. Bing: tipo di ciliegia. Bosc: tipo di pera. Canino: olio dal gusto deciso che viene prodotto dal comune omonimo in provincia di Viterbo. Canjero: tipo di pane (Somalia). Carambola: frutto tropicale. Carragenina: addensante proveniente dalle alghe (Irlanda). Chapati: pane indiano. Chayote: tipo di zucca. Chica: bevanda alcolica a base di quinoa. Cupuaçu: frutto dalla polpa molto cremosa, contiene vitamine A, B e C. Dahl: purè di lenticchie e mungo nero (India). Dashi: brodo di kombu (tipo di alga). Deglet Nour: tipo di dattero. Durion: frutto del quale solo i semi e la polpa sono commestibili (Asia). Fanciullaccia: simile al pepe (India). Fieno greco: la cucina tradizionale indiana ne utilizza i semi interi, oppure ridotti in polvere. Il fieno greco risulta un buon coadiuvante contro le infiammazioni e possiede proprietà antiossidanti. Gai-lohn: tipo di broccolo (Cina). Galanga: spezia simile allo zenzero (Tailandia). Garam-masala: miscela di spezie (India del Nord). Gombo: ortaggio a frutto, simile al peperone (Africa). Halawy: tipo di dattero. Jabuticaba: è simile all'uva (Brasile). Igname: simile alla patata (America del Sud). Kasha: porridge di chicchi di grano saraceno (Europa dell'Est). Khadrawi: tipo di dattero. Kudzu: amido simile al mais (Cina, Giappone). Kukicha: tè a rametti, particolarmente indicato per le sue qualità antiossidanti e spesso usato per combattere il mal di stomaco. Levistico: simile al sedano (Germania, Gran Bretagna). Longana: frutta tropicale. Malanga: simile alla patata (Antille). Muufo: tipo di pane (Somalia). Mungo nero: tipo di fagiolo (India, Birmania, Pakistan). Natto: condimento di consistenza vischiosa preparato con fagioli di soia fermentati. Nopal: sono le foglie grandi e carnose del cactus nopal (America centrale). Nori: tipo di alga. Okara: polpa seccata di fagioli di soia. Pak choi simile alla bietola (Cina). Papa a la Huancaìna: patate con salse (Perù). Pecan: tipo di noce (America del Nord). Pe-tsai: simile alla lattuga (Cina). Pita: pane piatto e ovale (Medio Oriente). Plantain: detta anche banana da cuocere (Africa, America del Sud). Portulaca: simile agli spinaci, ha un sapore aspro e piccante. Rambutan: frutto tropicale (Malesia). Ras el hanout: miscela di spezie (Marocco). Salicornia: tipo di alga. Sommacco: spezia di color bruno-porpora, ricorda il limone (Turchia, Medio Oriente). Spirulina: tipo di alga. Taro: tubero simile alla patata. Teff: simile al miglio (Etiopia). Tomatillo: simile al pomodoro (Messico). Topinambur: tubero; ricorda molto da vicino lo zenzero ed è un’ottima fonte di vitamine e minerali. Tortilla: focaccia sottile di farina di mais. Ugli: la sua polpa è più dolce di quella del pompelmo. Umeboshi: prugne giapponesi messe in salamoia per 3 anni e poi seccate. Wakame: tipo di alga (Giappone). Wasabi: condimento verde dal gusto molto forte. Yuba: pellicola formata dal latte di soia riscaldato (Giappone, Cina). (Da Vegan Revolution)

lunedì 3 ottobre 2016

Il cibo come strumento di controllo

Ormai da tempo è in atto una vera e propria campagna mediatica volta a sublimare il cibo in tutte le sue forme, quasi fosse l’unico scopo della nostra vita. Molti probabilmente non hanno prestato grande attenzione a questo fenomeno, anche in ragione del fatto che quasi tutta la massa di informazioni che ci viene lanciata contro è veicolata da un’ottima tecnica di camouflage; al primo posto i format televisivi che esaltano la cucina, mettendo l’uno contro l’altro cuochi e aspiranti chef che si danno battaglia sfornando fantasiosi piatti a base di succulente carni e maestose creazioni dolciarie. Seguono a ruota tutti i vari programmi dedicati alla cucina, alle ricette, ai suggerimenti dati alle casalinghe che hanno voglia di sbizzarrirsi tra i fornelli; a chiudere i vari ricettari ormai in allegato a tanti giornali, i calendari a tema culinario, le varie offerte e la sponsorizzazione selvaggia di cibi precotti, veloci, pronti all’uso, quasi tutti ovviamente a base di carne. Viene da chiedersi per quale motivo ci si industri così tanto per propagandare il cibo; le risposte potrebbero essere molteplici ma una soltanto soddisfa pienamente la natura del quesito: il cibo è uno strumento di controllo e dietro ogni slogan pubblicitario, ogni campagna promozionale e ogni lancio di un nuovo prodotto c’è sempre qualcuno che ha un enorme interesse a decidere cosa, quanto e come dobbiamo mangiare. Pensateci bene, soffermatevi un attimo sullo scenario appena descritto: immettendo e gestendo le risorse alimentari è possibile controllare chi di quelle risorse ha bisogno, veicolando i gusti e il tipo di alimento è possibile controllare le masse. Le basi principali per controllare un sistema sociale sono sempre state il cibo e il denaro; gestendo sapientemente entrambe le cose è possibile indirizzare le masse. Non si tratta di una novità, tantomeno di una trovata pubblicitaria o di uno slogan per attirare lettori, è una strategia già usata da tempo e nota in tutto il mondo; Henry Kissinger, il famoso politico americano consigliere per la sicurezza nazionale dal 1969 al 1977 e, ironia della sorte, premio Nobel per la Pace nel 1973, ripeteva molto spesso “Controlla il cibo e controllerai le persone”, ed è quello che sta accadendo. Qualcuno a questo punto potrebbe chiedersi: ma come è possibile controllare il cibo? In realtà è molto più facile di quanto si possa immaginare, tutto si può controllare, sfruttare, basta spostare l’attenzione sul prodotto giusto, quello che si vuole vendere, e demonizzare quello che non promette al momento un profitto tanto alto da giustificare una campagna promozionale. Tutto questo, ovviamente, a discapito della nostra salute, anzi, è proprio la salute il nostro punto debole, quello maggiormente attenzionato da chi gestisce il business dell’alimentazione; basta far leva sul fatto che quel determinato prodotto ci aiuterà a vivere meglio perché le nostre dispense si riempiano magicamente. Nascono da qui molte delle leggende metropolitane riguardanti i Vegan e il loro stile di vita, in un sistema nel quale proliferano industrie che muovono enormi capitali trattando costolette, hamburger e derivati, un mercato che non può certo tollerare che un gruppo di idealisti, attenti alla loro salute, all’ambiente e alla natura, possano influenzare altre persone. Si tratta di puro e semplice calcolo matematico, di finanza, di potenziali clienti che potrebbero andare perduti e profitti che potrebbero abbassarsi, uno scenario che fa paura a non pochi soggetti, al sistema in generale, e tutte quelle realtà più o meno sommerse che ne fanno parte, i colossi dell’alimentazione, una lunga fila di nomi, acronimi, sigle più o meno conosciute; sono realtà non sempre strettamente legate alla produzione alimentare, alcune si occupano di cibo insieme ad altre attività, altre ancora mettono la loro sigla su formaggi, sottilette, latte, e nello stesso tempo si muovono nel mercato degli armamenti e del petrolio. Nessuno vuole certo condannare la nobile arte del commercio, purché questa sia veramente nobile e magari con un occhio più attento al consumatore finale, cosa che nella corsa al controllo del cibo accade molto raramente, soprattutto quando si tratta di mettere in atto una delle tecniche più diffuse, il controllo dei semi. Ma questa è un'altra storia che ci attende lungo il sentiero... fonte: Vegan REvolution Credit foto: globaltruth.net Macrolibrarsi

mercoledì 28 settembre 2016

"Teologicamente" Vegani

Si tenta spesso di rapportare il pensiero Vegano, la filosofia che ne costituisce la base, ad altre correnti ideologiche e spirituali. Altrettanto spesso si è cercato un filo conduttore che, in qualche modo, sia in grado di unire, almeno idealmente, il Cristianesimo con il Veganismo; tale accostamento non risulta del tutto improbabile almeno dal punto di vista teologico. Gli studi teologici si soffermano sulla dignità che è propria dell'essere umano, un valore che non può portare ad ignorare quella degli animali; essi infatti non possono essere visti essenzialmente come un valore strumentale (visione utilitaristica) ma considerati come valore finale (ovvero come espressione della vita). Non si tratta quindi di oggetti, di strumenti da usare a nostro piacere, si tratta di esseri senzienti, viventi, e da un punto di vista strettamente teologico, collegati direttamente in stretta sinergia con la creazione e con il Creatore. Non parliamo quindi, come molti vorrebbero credere o affermano, di un qualcosa posto ad esclusivo servizio dell'uomo in base alla sua convenienza; il rapporto che quest'ultimo deve intrattenere con gli animali non può essere visto come un argomento indipendente dalla orale, dal rispetto e dalla giustizia. Partendo da questo presupposto il "non uccidere" assume una estensione diversa, all'interno della quale molte cose andrebbero riviste, a partire dalla sperimentazione sugli animali fino ad arrivare alle tristi vicende che si consumano dietro le quinte dell'industria della carne. Si tratta di un punto di vista che lascia molte aperture al dibattito, pur mantenendosi entro limiti "diplomaticamente" ben definiti, ma che ribadisce con forza il bene umano e il bene animale sono valori che andrebbero conciliati.
Vegan R/Evolution - Il libro ora su Macrolibarsi

martedì 27 settembre 2016

Vegan Revolution

Vegan R/Evolution ora anche su Macrolibrarsi LINK

venerdì 23 settembre 2016

Mondo Vegan: demografia Vegana

Questa la situazione demografica della filosofia vegan a partire dal 2013: Austria: lo 0,5% degli austriaci pratica il Veganismo, con un picco dello 0,7% registrato nella città di Vienna. Una successiva indagine condotta nei biomercati ha rivelato la presenza di circa 40.000 vegani in tutto il territorio, di questi 15.000 erano viennesi. Belgio: uno studio recente (2016) della Ivox online study ha rivelato che su 1.000 cittadini delle Fiandre e di Bruxelles, selezionati dai 18 anni in poi, lo 0,3% erano vegan, mentre l’1,5% vegetariano. Germania: a partire dal 2013 si registrano circa 800.000 vegani. Israele: l’Ufficio centrale di Statistica israeliano rende noto che nel 2010 il 2,6% della popolazione è vegana o vegetariana. Un successivo sondaggio effettuato nel 2014 per conto di Master Chef Israele ha portato la percentuale dei vegani al 5%. Italia: un rapporto divulgato dall’Eurispes nel 2016 registra un forte incremento di vegani e vegetariani nel nostro paese. Una prima stima divulgata nel 2015, che riuniva insieme vegetariani e vegani, riferiva di un 8% della popolazione, di questi il 7,1% erano vegetariani. La percentuale vegan è salita all’1% nel 2016. Paesi Bassi: nel 1996 il numero dei vegani era di circa 16.000, salito a 45.000 nel 2014 e a 50.000 nel 2016. Secondo il ricercatore Hans Dagevos la stima sarebbe in realtà di 70.000. Spagna: in Spagna non esistono statistiche ufficiali, tuttavia uno studio condotto nel 2006 cita uno 0,08% della popolazione. Svezia: un sondaggio della Demoskop effettuato nel 2014 registra un 4% di presenza vegan. Svizzera: la Vegane Gesellschaft Schweiz attesta che circa l’1% della popolazione è vegana. Regno Unito: nel 2006 il quotidiano inglese The Independent riferisce uno 0,99% di popolazione vegana, riportando come picco massimo l’1,66%. L’anno successivo questa stima è salita all’1,05%. Stati Uniti: la Gallup Company di Washington stima che, a partire dal 2012, il 2% della popolazione americana segue la filosofia vegan.

martedì 20 settembre 2016

Al mercato dei veleni

Cosa mangiamo realmente? Cosa si nasconde dietro il cibo che ci viene continuamente consigliato? Possiamo veramente credere che dietro ogni operazione che riguardi il mercato alimentare ci sia solo ed esclusivamente un interesse rivolto alla nostra salute e al benessere del pianeta nel quale viviamo? Tutte queste domande assillano quotidianamente quella ormai vasta platea di persone che avverte il bisogno di chiarezza, e non soltanto rispetto all’alimentazione. Ci si chiede se le politiche alimentari e la globalizzazione del tipo di alimentazione non siano in realtà pure e semplici strategie di mercato. Possiamo davvero, in tutta coscienza, affermare di non aver mai avuto questo ragionevole dubbio? Proviamo ad osservare con assoluta tranquillità, e lontani da ogni preconcetto, cosa avviene intorno a noi, cosa accade prima che un prodotto faccia bella mostra nei vari supermercati. La produzione alimentare è ormai a livello industriale, e non potrebbe essere altrimenti viste le sempre più pressanti richieste di cibo e la spietata concorrenza che anima i mercati. Il risultato finale è rappresentato, nella maggior parte dei casi, da prodotti destinati ad una lunga conservazione, che debbono resistere il più a lungo possibile negli scaffali e dentro i nostri frigoriferi; perché ciò accada è necessario usare determinate sostanze, sostanze chimiche, artificiali, sintetiche, totalmente estranee al nostro organismo e dagli imprevedibili effetti. In seguito, affinché il prodotto riesca a catalizzare i nostri sensi, è importante che abbia un colore e un odore accattivante; in tal modo ecco che si aggiungono altre sostanze estranee. Il prodotto finito sarà bello da vedere, soddisfacente per l’olfatto, squisito per il gusto, ma totalmente privo di quel fabbisogno di elementi essenziali richiesti dal nostro organismo. Ovviamente bisogna poi trovare delle strategie di marketing che incrementino le vendite, perché allora non usare quello stesso crescente bisogno di ritornare ai prodotti naturali. Questo processo psicologico spiega i tanti slogan inneggianti alla natura posti su prodotti che inevitabilmente, per forza di cose, non possono che essere di provenienza industriale. Forse qualcuno è disposto a credere che quel tale produttore vada da solo in campagna a raccogliere la frutta migliore per farci dei gustosi prodotti da proporre? Nessuno ovviamente si pone la domanda, è una tecnica psicologica largamente sperimentata, che fa leva sul nostro subconscio, il quale associa il nome del produttore ai suoi messaggi promozionali, più importante è il produttore più saranno veritiere le sue esternazioni. In pratica è lo stesso fenomeno che si verifica quando ascoltiamo e assimiliamo le notizie; se la notizia proviene da un canale ufficiale è sicuramente vera, se arriva da canali secondari o poco conosciuti sarà falsa o poco credibile. Tutto questo serve a formare e alimentare nel tempo una vasta cortina di fumo, attraverso la quale non riusciamo a vedere e, spesso, ci rifiutiamo di guardare... (Tratto da "Vegan Revolution" Chi ha paura dei Vegani? - Primiceri Editore)

domenica 18 settembre 2016

La filosofia Vegana e l'Effetto Farfalla

Nel 1950, Alan Turing, parlando dello spostamento di un singolo elettrone in un ben preciso momento e delle conseguenze generate da tale avvenimento (vedi "Computing machinery and intelligence Mind" del 1950), anticipava già di qualche anno quella che in seguito sarebbe stata la teoria dell'Effetto Frafalla. La locuzione, probabilmente derivata dai racconti di fantascienza dello scrittore Ray Bradbury (Sound of Thunder, 1952), venne ripresa e analizzata scientificamente soltanto nel 1963, in un documento destinato alla New York Academy of Sciences. Di cosa si tratta esattamente? Seguendo l'idea di Bradbury, immaginiamo per un attimo che qualcuno riesca a ritornare indietro nel tempo e che, proprio in questa occasione, calpesti inavvertitamente una farfalla...tale atto potrebbe avere conseguenze del tutto inaspettate e catastrofiche per tutto il genere umano. Su questi parametri si basò anche l'analisi scientifica del 1963, all'interno della quale il matematico e metereologo americano Edward Lorenz ribadì come tale concetto non fosse poi così lontano dalla realtà. Il perpetuarsi della crudeltà sugli animali, la continua ricerca di alimenti che siano in grado di portare maggiori profitti alle industrie alimentari a scapito della qualità e senza alcun rispetto per la nostra Madre Terra all'interno del loro ciclo produttivo, sono due delle tendenze negative che continuano nel tempo a produrre quell'Effetto Farfalla al quale si accennava prima. Non basta cercare di informarsi su cosa contengono realmente i cibi che ci vengono propagandati dal mercato, è importante anche sapere cosa accade esattamente dietro le quinte delle industrie alimentari e quanto, questi avvenimenti, possano risultare nocivi al pianeta sul quale viviamo e, in prospettiva, al nostro stesso futuro. Ponendoci all'interno di quest'ottica non sarà difficile scoprire che negli USA, ad esempio, circa il 72% dei cereali che vengono coltivati non finiscono sulla tavola degli americani ma servono per alimentare il bestiame; quest'ultimo, inoltre, consuma circa l'80% del raccolto mondiale di soia e oltre la metà di quello di mais. servono Si scoprirebbe anche che i tanto propagandati hamburger (dai ben noti effetti nocivi sulla salute) sono tra i maggiori responsabili della deforestazione mondiale; statisticamente, ogni giorno, ogni bovino adulto è responsabile della perdita di circa 14.400 acri di foresta pluviale. Le cose non vanno tanto bene neanche nei nostri mari: secondo studi recenti (2006), la fornitura mondiale di frutti di mare si esaurirà entro il 2048, mentre circa il 70% delle specie di pesci si avvia verso l'estinzione per sfruttamento e impoverimento; a questo bisogna infine aggiungere il costante aumento delle zone morte negli oceani, la distruzione degli habitat marini e l'inquinamento delle acque. L'uomo non ha certo avuto bisogno di andare indietro nel tempo per innescare l'Effetto Farfalla, lo fa tranquillamente ogni giorno, proprio adesso, nel presente, incurante di ciò che sarà, completamente sordo ai vari richiami che gli suggeriscono come sia ancora possibile invertire questa tendenza. La filosofia Vegana è una di queste possibilità, una scelta coraggiosa, di certo controtendenza, lontana da interessi e calcoli finanziari, una scelta fatta con la testa e con il cuore, due parti del nostro corpo che dovremmo imparare ad usare molto più spesso.

sabato 17 settembre 2016

Veganismo in celluloide

Il mondo del cinema è sicuramente una grande opportunità per divulgare pensieri e punti di vista, ovviamente quando usato con estrema sincerità e disponibilità ad un incontro con il pubblico in prospettiva di un dialogo aperto ed istruttivo. Il linguaggio dei documentari è di certo il più consono per portare avanti alcuni concetti propri della filosofia Vegana, e proprio in tal senso si sono mossi vari registi, producendo opere di un certo spessore. Si tratta sicuramente di una lodevole iniziativa, tesa a portare maggior consapevolezza all'interno della società, oltre che un modo diretto di informare in un contesto nel quale proprio l'informazione non sempre risulta essere completamente al di sopra delle parti. Il primo documentario da segnalare risale al 2004, si chiama "Peaceable Kingdom" e racconta, in circa settanta minuti, la storia di alcuni agricoltori tradizionali che, dopo aver fatto i conti con la loro coscienza, iniziano a rivedere il loro rapporto con gli animali. Segue, nel 2005, "Earthlings", con la voce narrante dell'attore Joaquin Phoenix, tutto incentrato sul trattamento riservato agli animali. un documentario crudo, a volte scioccante, che riprende il materiale filmato da alcune telecamere nascoste all'interno delle industrie della carne. Dopo circa 4 anni, nel 2009, appare sugli schermi "Raw For 30 Days", una interessante analisi della correlazione tra l'alimentazione vegana e il diabete; sei americani affetti da diabete seguono per 30 giorni l'alimentazione vegana, i riultati saranno del tutto sorprendenti. Su questa stessa linea si pone "Fat Sick and Nearly Dead" del 2010, un documentario che racconta la storia di un australiano sovrappeso affetto da una malattia autoimmune molto rara. Un documentario più rivolto al sociale, con una sottile vena comica di fondo, è "Vegucated" (2011), nel quale si narrano le vicende di 3 ragazzi onnivori di New York che decidono di seguire l'alimentazione Vegana per sei settimane; questo li porterà a scoprire tutto quello che non ci viene detto sul Veganismo, portando i protagonisti a diventare dei veri e propri attivisti impegnati contro le frodi dell'industria alimentare. Sempre nel 2011 si ritorna ad affrontare il delicato tema della salute con "Forks Over Knives", lavoro incentrato sulla correlazione tra le malattie degenerative e la dieta a base di carne. Credit foto: amazon.com

venerdì 16 settembre 2016

Partecipazione

Semina in silenzio…in silenzio ama, in silenzio accogli. C’è troppo clamore, troppe voci che sovrastano la dignitosa, flebile voce, di chi soffre e chiede soltanto un abbraccio sincero…partecipazione…non si può voler bene se dentro se stessi non si accoglie una parte dell’altro, se in questa misteriosa sinergia non si regala una piccola parte di se stessi. Non si può comprendere se prima non ci si specchia negli occhi di chi chiede la nostra comprensione…un bacio non partecipato è solo accondiscendenza, cortesia…noto spesso tante persone che, incontrandosi per strada, si stringono la mano e storcendo le labbra accennano ad un bacio sulla guancia guardando dall’altra parte. La semplicità dei gesti, la spontaneità delle azioni…tutto si perde quasi sempre nel dovuto, in qualcosa che si deve fare senza però saperne il motivo. Quasi adempiendo ad un monotono e antico rituale….vai a messa la domenica perché è domenica…il matrimonio si fa in Chiesa perché si usa così…ci si bacia frettolosamente tra amici perché lo fanno tutti e la stessa parola Amico non identifica colui che consideri parte di te, tuo fratello, tua sorella, la persona che ti sorregge in silenzio quando cadi e che è sempre pronta a correre quando hai bisogno, che conosce i tuoi stati d’animo e sa già cosa vorresti dire quando non lo hai ancora detto…tutti oggi sono amici, dal primo che incontri per strada al perfetto sconosciuto che ti chiama al telefono per una promozione…si usa così. Forse sarebbe anche tempo di spezzare le catene, andare oltre le regole imposte da non so chi per non so cosa…forse è tempo di capire che il termine dignità identifica un qualcosa che è uguale per tutti…un abbraccio distratto, l’elemosina che cade dall’alto per il gusto di far sentire quel tintinnio, la prova inequivocabile per tutti del gesto appena compiuto…la non partecipazione lede la dignità altrui, un bacio richiesto e ricevuto distrattamente, di fretta, tanto per accontentarti, è la stessa cosa che tagliare le labbra con una lametta…un abbraccio dato tanto per levarsi di torno quel fastidioso contrattempo e un’offesa alla speranza, quel “va bene…va bene….” Sibilato ironicamente per far tacere tuo figlio o tua figlia, o tua moglie, o tuo marito, equivale al peggiore degli insulti…partecipazione…non possiamo capire gli altri se non diventiamo, anche per un solo attimo, gli altri…non possiamo pretendere di essere capiti se non lasciamo che gli altri siano, sempre per un attimo, parte di noi.

giovedì 15 settembre 2016

Il cammino

Il Cammino, l'atto di andare verso, di muoversi e dirigersi oltre, colmare gli spazi che ci separano dall'indefinito e sporgersi verso l'infinito. In un mondo nel quale tutti si muovono forsennatamente, dove la fretta è madre dello stress, dove non si osserva ma si guarda di sfuggita perdendo tutte le sfumature della vita, l'atto di camminare semplicemente è segno di umiltà e l'umiltà alberga nei grandi cuori. Camminare è un movimento lento, significa attraversare e attraversarsi, concepire la vita come un percorso durante il quale bisogna porre attenzione agli ostacoli ma anche a chi ci viene incontro e chi ci è rimasto dietro. Chi ha fretta di giungere alla meta ed è pronto a lasciarsi tutti dietro pur di arrivare per primo, una volta giunto non troverà nessuno con il quale condividere la propria vittoria. Camminare è anche condividere, fermarsi ad ascoltare, prendersi del tempo e non lasciarsi prendere dal tempo. Auguro a tutti una meta da condividere e a me stesso di trovare sempre queste piccole, immense riflessioni per lasciarmi rapire.

Vegan R/Evolution

Un blog semplice per un messaggio ancora più semplice ma di grande importanza: inizia a volerti bene, inizia a guardarti intorno, informati e scegli il meglio, ci nutriamo per alimentare al meglio il nostro corpo non per alimentare le esigenze di mercato. Il Veganismo non è una dieta, non lo è mai stato, da questo presupposto si allarga una diversa prospettiva, un nuovo modo di osservare quanto ci accade intorno, quali sono le dinamiche dei mercati e delle multinazionali che, attraverso il cibo, vogliono scrivere il nostro futuro e quello delle nazioni. Un viaggio alimentato dalla curiosità di esplorare nuovi sentieri, un viaggio attraverso una auspicata Rivoluzione del pensiero che porti ad una nuova Evoluzione.