domenica 30 ottobre 2016

Consapevolezza e Alimentazione

Molto spesso viene usato il termine Consapevolezza accostandolo all’atto di nutrirsi, tentando in tal modo di rafforzare il concetto di Alimentazione Consapevole. Questo particolare tema rischia però di essere svilito qualora si provasse ad inserirlo in un contesto che riguardi solo ed esclusivamente il cibo e la scelta degli alimenti utili al nostro corpo. In realtà quando ci si appella al bisogno di una rinnovata consapevolezza si intende un processo unico, all’interno del quale l’alimentazione gioca un ruolo essenziale, ma non ne rappresenta lo scopo principale. Dobbiamo quindi, a questo punto, chiederci necessariamente cosa si intende per consapevolezza. Gli studi filosofici ci insegnano che si tratta di un sapere immediato, ottenuto facendo uso dell’apparato sensoriale, che ci porta ad oggettivare tutto ciò che è possibile osservare, sentire e percepire intorno a noi. Da una tale esposizione è possibile desumere che non può esistere consapevolezza senza coscienza, due stati dell’essere che si trovano in simbiosi anche se diversi tra loro. Lo stato di coscienza ci appartiene indipendentemente dalla consapevolezza; quando ci svegliamo al mattino e iniziamo a guardarci intorno, a riprendere contatto con la realtà che ci circonda, viviamo uno stato di coscienza e in tale stato rimarremo fino a quando non riprenderemo a dormire. Siamo attenti, presenti alle varie situazioni, coscienti del nostro ruolo all’interno delle varie dinamiche che formano il nostro quotidiano, la nostra vita sociale. In poche parole agiamo, ma questo agire non sempre corrisponde all’aver compreso pienamente per quale motivo lo stiamo facendo; la stragrande maggioranza delle azioni compiute durante il giorno è spesso frutto della consuetudine, lo statico riproporsi di modelli comportamentali spesso imposti dal sistema, dai contesti sociali, dal gioco dei ruoli all’interno dei rapporti personali e interpersonali. Rapportando quanto appena scritto all’argomento di questo libro, proviamo a pensare quante volte, consapevolmente, siamo veramente noi a scegliere cosa acquistare. Non si tratta soltanto di voler ridurre il tutto all’alimentazione; si tratta invece di un problema che investe completamente ogni nostra singola abitudine, quasi ogni azione, un problema che assume vari nomi, tra questi Controllo e Disinformazione. Gli studi comportamentali, la psicologia cognitiva, le neuroscienze, sono diventate materie utilissime e preziose per il marketing, veri e propri scanner sotto i quali passano i nostri cervelli, sensori infallibili che registrano ogni nostro movimento. Noi a volte abbiamo le idee confuse, ma non certo gli strateghi del marketing; loro sanno benissimo quali sono i nostri punti deboli, cosa ci piace, cosa ci attira, quali trasgressioni ci permettiamo pensando di non essere visti da nessuno. In che modo accade tutto questo? Cerchiamo innanzitutto di focalizzare quali siano le strategie, le aree sensibili attraverso le quali possono agevolmente muoversi i persuasori occulti mettendo in pratica le tecniche di disinformazione e coercizione mentale in loro possesso. Volendo disegnare uno scenario che comprenda i vari punti sensibili, ovvero quelli che vengono considerati come i “punti deboli” dei consumatori, il primo posto è sicuramente riservato al Kids Marketing, una particolare branca del mercato tesa a capitalizzare la nostra innata debolezza nei confronti di una richiesta d’acquisto proveniente da un bambino, soprattutto se si tratta dei nostri figli. In questo caso tutta l’informazione, composta per lo più da messaggi visivi e uditivi, è studiata per i più piccoli, visti come un mezzo per far arrivare la richiesta d’acquisto a quello che sarà il compratore finale. Gli studi condotti sul comportamento e sulle preferenze dei più piccoli confluiscono direttamente in azioni strategiche mirate; provate ad osservare con attenzione la posizione di alcuni prodotti nei vari supermercati: merendine e giocattoli sono solitamente disposti a circa un metro da terra, ovvero a portata di bambino, e sono solitamente confezionati con colori sgargianti. Alcuni sondaggi, inoltre, rivelano che i bambini sotto i tre anni guardano circa 40.000 spot pubblicitari l’anno, che circa il 75% degli acquisti spontanei può essere ricondotto ad un bambino, e che una madre su due compra un alimento perché richiesto dal figlio. Se i nostri figli sono equiparati, da un certo tipo di mercato, al nostro maggior punto debole, esiste una diversa fascia di marketing che sfrutta un diverso parametro di studi per incrementare le proprie vendite, quello delle case farmaceutiche. A prima vista potrebbe apparire come un paradosso, eppure la nostra salute è costantemente sotto il mirino degli analisti finanziari, un vero e proprio business in costante aggiornamento e direttamente connesso alle varie tecniche di disinformazione. Il soggetto sul quale si basa questa particolare tecnica risulta sempre vincente; stiamo parlando della paura. Tratto da VEGAN R/EVOLUTION...IL LIBRO...continua la lettura

lunedì 17 ottobre 2016

Nomi strani...cibi sani

Potrebbe accadere, magari durante una vacanza, un viaggio in paesi lontani dalla nostra cultura e dalle nostre abitudini alimentari, o molto più semplicemente girovagando per i supermercati, di trovare prodotti e ingredienti dai nomi strani, a volte impronunciabili. Proviamo a redigerne un breve elenco: Aglio nero: ciò che rimane dell’aglio fermentato per un mese ad alte temperature. Contiene proprietà antiossidanti. Agretti: dal sapore vagamente agre, si trovano anche sotto il nome di lischi o senape dei monaci; si tratta di ortaggi tipicamente primaverili, molto simili all’erba cipollina, ricchi di sali minerali e dalle ottime qualità depurative. Ajowan: spezia simile al timo (India). Assafetida: spezia costituita da resina seccata derivata dai finocchi. Bacche di Açai: frutto brasiliano di colore scuro, simile al mirtillo, molto nutriente, tanto da essere inserito nella dieta degli atleti brasiliani. Bacche di Goji: i Tibetani le conoscono come i “frutti della vita” e anche i medici cinesi le usano frequentemente. Ricche di antiossidanti, aminoacidi e vitamine, non sempre sono di facile reperibilità; risulta molto più semplice acquistarne i semi da piantare in primavera. Baklava: dolce preparato con pasta fillo. Bardana: ortaggio a radice, si prepara come la carota. Bilimbi: frutto tropicale simile alla carambola. Bing: tipo di ciliegia. Bosc: tipo di pera. Canino: olio dal gusto deciso che viene prodotto dal comune omonimo in provincia di Viterbo. Canjero: tipo di pane (Somalia). Carambola: frutto tropicale. Carragenina: addensante proveniente dalle alghe (Irlanda). Chapati: pane indiano. Chayote: tipo di zucca. Chica: bevanda alcolica a base di quinoa. Cupuaçu: frutto dalla polpa molto cremosa, contiene vitamine A, B e C. Dahl: purè di lenticchie e mungo nero (India). Dashi: brodo di kombu (tipo di alga). Deglet Nour: tipo di dattero. Durion: frutto del quale solo i semi e la polpa sono commestibili (Asia). Fanciullaccia: simile al pepe (India). Fieno greco: la cucina tradizionale indiana ne utilizza i semi interi, oppure ridotti in polvere. Il fieno greco risulta un buon coadiuvante contro le infiammazioni e possiede proprietà antiossidanti. Gai-lohn: tipo di broccolo (Cina). Galanga: spezia simile allo zenzero (Tailandia). Garam-masala: miscela di spezie (India del Nord). Gombo: ortaggio a frutto, simile al peperone (Africa). Halawy: tipo di dattero. Jabuticaba: è simile all'uva (Brasile). Igname: simile alla patata (America del Sud). Kasha: porridge di chicchi di grano saraceno (Europa dell'Est). Khadrawi: tipo di dattero. Kudzu: amido simile al mais (Cina, Giappone). Kukicha: tè a rametti, particolarmente indicato per le sue qualità antiossidanti e spesso usato per combattere il mal di stomaco. Levistico: simile al sedano (Germania, Gran Bretagna). Longana: frutta tropicale. Malanga: simile alla patata (Antille). Muufo: tipo di pane (Somalia). Mungo nero: tipo di fagiolo (India, Birmania, Pakistan). Natto: condimento di consistenza vischiosa preparato con fagioli di soia fermentati. Nopal: sono le foglie grandi e carnose del cactus nopal (America centrale). Nori: tipo di alga. Okara: polpa seccata di fagioli di soia. Pak choi simile alla bietola (Cina). Papa a la Huancaìna: patate con salse (Perù). Pecan: tipo di noce (America del Nord). Pe-tsai: simile alla lattuga (Cina). Pita: pane piatto e ovale (Medio Oriente). Plantain: detta anche banana da cuocere (Africa, America del Sud). Portulaca: simile agli spinaci, ha un sapore aspro e piccante. Rambutan: frutto tropicale (Malesia). Ras el hanout: miscela di spezie (Marocco). Salicornia: tipo di alga. Sommacco: spezia di color bruno-porpora, ricorda il limone (Turchia, Medio Oriente). Spirulina: tipo di alga. Taro: tubero simile alla patata. Teff: simile al miglio (Etiopia). Tomatillo: simile al pomodoro (Messico). Topinambur: tubero; ricorda molto da vicino lo zenzero ed è un’ottima fonte di vitamine e minerali. Tortilla: focaccia sottile di farina di mais. Ugli: la sua polpa è più dolce di quella del pompelmo. Umeboshi: prugne giapponesi messe in salamoia per 3 anni e poi seccate. Wakame: tipo di alga (Giappone). Wasabi: condimento verde dal gusto molto forte. Yuba: pellicola formata dal latte di soia riscaldato (Giappone, Cina). (Da Vegan Revolution)

lunedì 3 ottobre 2016

Il cibo come strumento di controllo

Ormai da tempo è in atto una vera e propria campagna mediatica volta a sublimare il cibo in tutte le sue forme, quasi fosse l’unico scopo della nostra vita. Molti probabilmente non hanno prestato grande attenzione a questo fenomeno, anche in ragione del fatto che quasi tutta la massa di informazioni che ci viene lanciata contro è veicolata da un’ottima tecnica di camouflage; al primo posto i format televisivi che esaltano la cucina, mettendo l’uno contro l’altro cuochi e aspiranti chef che si danno battaglia sfornando fantasiosi piatti a base di succulente carni e maestose creazioni dolciarie. Seguono a ruota tutti i vari programmi dedicati alla cucina, alle ricette, ai suggerimenti dati alle casalinghe che hanno voglia di sbizzarrirsi tra i fornelli; a chiudere i vari ricettari ormai in allegato a tanti giornali, i calendari a tema culinario, le varie offerte e la sponsorizzazione selvaggia di cibi precotti, veloci, pronti all’uso, quasi tutti ovviamente a base di carne. Viene da chiedersi per quale motivo ci si industri così tanto per propagandare il cibo; le risposte potrebbero essere molteplici ma una soltanto soddisfa pienamente la natura del quesito: il cibo è uno strumento di controllo e dietro ogni slogan pubblicitario, ogni campagna promozionale e ogni lancio di un nuovo prodotto c’è sempre qualcuno che ha un enorme interesse a decidere cosa, quanto e come dobbiamo mangiare. Pensateci bene, soffermatevi un attimo sullo scenario appena descritto: immettendo e gestendo le risorse alimentari è possibile controllare chi di quelle risorse ha bisogno, veicolando i gusti e il tipo di alimento è possibile controllare le masse. Le basi principali per controllare un sistema sociale sono sempre state il cibo e il denaro; gestendo sapientemente entrambe le cose è possibile indirizzare le masse. Non si tratta di una novità, tantomeno di una trovata pubblicitaria o di uno slogan per attirare lettori, è una strategia già usata da tempo e nota in tutto il mondo; Henry Kissinger, il famoso politico americano consigliere per la sicurezza nazionale dal 1969 al 1977 e, ironia della sorte, premio Nobel per la Pace nel 1973, ripeteva molto spesso “Controlla il cibo e controllerai le persone”, ed è quello che sta accadendo. Qualcuno a questo punto potrebbe chiedersi: ma come è possibile controllare il cibo? In realtà è molto più facile di quanto si possa immaginare, tutto si può controllare, sfruttare, basta spostare l’attenzione sul prodotto giusto, quello che si vuole vendere, e demonizzare quello che non promette al momento un profitto tanto alto da giustificare una campagna promozionale. Tutto questo, ovviamente, a discapito della nostra salute, anzi, è proprio la salute il nostro punto debole, quello maggiormente attenzionato da chi gestisce il business dell’alimentazione; basta far leva sul fatto che quel determinato prodotto ci aiuterà a vivere meglio perché le nostre dispense si riempiano magicamente. Nascono da qui molte delle leggende metropolitane riguardanti i Vegan e il loro stile di vita, in un sistema nel quale proliferano industrie che muovono enormi capitali trattando costolette, hamburger e derivati, un mercato che non può certo tollerare che un gruppo di idealisti, attenti alla loro salute, all’ambiente e alla natura, possano influenzare altre persone. Si tratta di puro e semplice calcolo matematico, di finanza, di potenziali clienti che potrebbero andare perduti e profitti che potrebbero abbassarsi, uno scenario che fa paura a non pochi soggetti, al sistema in generale, e tutte quelle realtà più o meno sommerse che ne fanno parte, i colossi dell’alimentazione, una lunga fila di nomi, acronimi, sigle più o meno conosciute; sono realtà non sempre strettamente legate alla produzione alimentare, alcune si occupano di cibo insieme ad altre attività, altre ancora mettono la loro sigla su formaggi, sottilette, latte, e nello stesso tempo si muovono nel mercato degli armamenti e del petrolio. Nessuno vuole certo condannare la nobile arte del commercio, purché questa sia veramente nobile e magari con un occhio più attento al consumatore finale, cosa che nella corsa al controllo del cibo accade molto raramente, soprattutto quando si tratta di mettere in atto una delle tecniche più diffuse, il controllo dei semi. Ma questa è un'altra storia che ci attende lungo il sentiero... fonte: Vegan REvolution Credit foto: globaltruth.net Macrolibrarsi